Il Raccontafiabe
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“Favole nuove non ce ne sono più, se n’è perduto il seme…”
A partire dal 1882 Luigi Capuana scopre il gusto di smettere per un poco i panni del teorico e dello scrittore verista per trasformarsi in narratore di fiabe. C’era una volta… , la prima raccolta, dalla sua uscita fino alla morte dell’autore viene ristampata venti volte. Le fiabe di Capuana devono il loro successo grazie anche ai travestimenti teatrali di cui saranno oggetto, a partire da Spera di Sole, la prima fiaba, adattata dall’autore stesso a commedia per burattini.
Il legame tra fiaba e teatro non stupisce e il più evidente segnale del favore incontrato dalle fiabe dello scrittore siciliano è dato dalla loro accoglienza nel novero delle fiabe tradizionali: le fiabe inventate da uno scrittore moderno non sono distinguibili da quelle che le donne del paese raccontano da secoli ai bambini. L’intento di Capuana è evidente fin dal titolo della sua prima raccolta C’era una volta…: l’autore diventa egli stesso un narratore di fiabe rielaborando, a modo suo, la tradizione. Una rielaborazione che si nota persino nei nomi dei protagonisti, che spesso coincidono con i titoli delle fiabe. Sono nomignoli che racchiudono l’essenza stessa del personaggio. Per esempio, Spera di sole, prima fiaba della prima raccolta, deve il suo titolo sì alla protagonista, ma non al nome che le è stato attribuito: ‘Spera di sole’ è chiamata così solo dalla madre, che reagisce al disprezzo della comunità proprio ribaltando in un’espressione radiosamente benaugurante l’appellativo ‘Tizzoncino’ affibbiato alla figlia «nera come un tizzone e più brutta del peccato mortale», secondo la descrizione del narratore nelle primissime righe della storia.
Il miglior documento della metamorfosi dello scrittore Capuana in narratore di fiabe è l’ultima fiaba della raccolta C’era una volta…, il RACCONTA-FIABE, nella quale si cela l’autobiografico racconto della composizione dell’opera. Il racconta-fiabe è un «povero diavolo, che aveva fatto tutti i mestieri e non era riuscito in nessuno». Il «povero diavolo» è dunque da un lato il vecchio vagabondo che ben si inserisce nel novero dei personaggi da fiaba, dall’altro la figura dello scrittore che depone l’aura di romantica sacralità e si vede nelle vesti di «povero diavolo» in cerca di un mestiere, per poter campare. Condannato dal suo pubblico, l’eroe subisce l’allontanamento: si ritrova nottetempo in un bosco dove assiste alla fiera delle fate. Le fate dichiarano che «Fiabe nuove non ce n’è più; se n’è perduto il seme» e invitano l’eroe a rivolgersi al mago Tre-Pi che ha i magazzini pieni di fiabe. Nel mago, «nero come il pepe, con una barbona nera e certi occhi neri che schizzavano fuoco», si cela, non velatamente, Giuseppe Pitrè, l’intellettuale siciliano impegnato nella raccolta di fiabe dalla bocca di vecchie narratrici contadine.
Così, anche noi ci rivolgiamo al Mago per cercare nei suoi magazzini nuove fiabe e portarle ai bambini per ritrovare, grazie al genio di Capuana, nella frase “C’era una volta…” la valenza educativa anche dei racconti legati alla vita paesana della Sicilia.
Il legame tra fiaba e teatro non stupisce e il più evidente segnale del favore incontrato dalle fiabe dello scrittore siciliano è dato dalla loro accoglienza nel novero delle fiabe tradizionali: le fiabe inventate da uno scrittore moderno non sono distinguibili da quelle che le donne del paese raccontano da secoli ai bambini. L’intento di Capuana è evidente fin dal titolo della sua prima raccolta C’era una volta…: l’autore diventa egli stesso un narratore di fiabe rielaborando, a modo suo, la tradizione. Una rielaborazione che si nota persino nei nomi dei protagonisti, che spesso coincidono con i titoli delle fiabe. Sono nomignoli che racchiudono l’essenza stessa del personaggio. Per esempio, Spera di sole, prima fiaba della prima raccolta, deve il suo titolo sì alla protagonista, ma non al nome che le è stato attribuito: ‘Spera di sole’ è chiamata così solo dalla madre, che reagisce al disprezzo della comunità proprio ribaltando in un’espressione radiosamente benaugurante l’appellativo ‘Tizzoncino’ affibbiato alla figlia «nera come un tizzone e più brutta del peccato mortale», secondo la descrizione del narratore nelle primissime righe della storia.
Il miglior documento della metamorfosi dello scrittore Capuana in narratore di fiabe è l’ultima fiaba della raccolta C’era una volta…, il RACCONTA-FIABE, nella quale si cela l’autobiografico racconto della composizione dell’opera. Il racconta-fiabe è un «povero diavolo, che aveva fatto tutti i mestieri e non era riuscito in nessuno». Il «povero diavolo» è dunque da un lato il vecchio vagabondo che ben si inserisce nel novero dei personaggi da fiaba, dall’altro la figura dello scrittore che depone l’aura di romantica sacralità e si vede nelle vesti di «povero diavolo» in cerca di un mestiere, per poter campare. Condannato dal suo pubblico, l’eroe subisce l’allontanamento: si ritrova nottetempo in un bosco dove assiste alla fiera delle fate. Le fate dichiarano che «Fiabe nuove non ce n’è più; se n’è perduto il seme» e invitano l’eroe a rivolgersi al mago Tre-Pi che ha i magazzini pieni di fiabe. Nel mago, «nero come il pepe, con una barbona nera e certi occhi neri che schizzavano fuoco», si cela, non velatamente, Giuseppe Pitrè, l’intellettuale siciliano impegnato nella raccolta di fiabe dalla bocca di vecchie narratrici contadine.
Così, anche noi ci rivolgiamo al Mago per cercare nei suoi magazzini nuove fiabe e portarle ai bambini per ritrovare, grazie al genio di Capuana, nella frase “C’era una volta…” la valenza educativa anche dei racconti legati alla vita paesana della Sicilia.
Vittorio Bonaccorso
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Ora
21 Gennaio 2024 17:00 - 19:00(GMT+01:00)
Luogo
KOME - Stanze di Vita Quotidiana
Via Ferdinando Adamo, 8
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